Nell’immaginario collettivo quando si parla di incarico ci si riferisce al mandato che viene conferito per la vendita (o per la locazione) di un’unità immobiliare. Nella loro definizione più ampia, invece, sono da definirsi incarichi tutti quegli atti necessari a conferire a terzi il potere di assolvere ad un determinato compito.
Quindi, un agente immobiliare riceve incarichi sia da chi deve alienare un bene come da chi vuole acquisire un bene.
L’incarico è l’atto che suggella contrattualmente un rapporto, per cui una parte esprime una volontà, individua causa e oggetto, inquadra il tutto in una determinata forma e lo conferisce concordando con l’incaricato condizioni, modo e termini.
Redigere un contratto di vendita o di ricerca immobiliare è l’unico modo per definire in maniera trasparente e chiara i rapporti tra due parti che si apprestano a intraprendere un rapporto obbligazionario. Per tal motivo è imprescindibile l’utilizzo della forma scritta.
Eppure, questo “contratto di lavoro atipico” rimane troppo spesso nell’incertezza della forma verbale.
Verba volant, scripta manent. Ça va sans dire.
Considerando che l’invenzione della scrittura ha trascinato l’Umanità fuori dalla Preistoria, quanto è tollerabile che la trasmissione orale sia rimasta d’uso comune in determinati rapporti di lavoro?
“Restiamo in parola, come gli antichi.” Appunto.
E chi se ne frega se abbiamo il web 3.0, gli smartphone, la globalizzazione, se alla fine possiamo ridurre tutto ad una stretta di mano e alla convenzione per cui all’agente immobiliare non si firma nulla, a prescindere e meglio non insistere.
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Io, al posto tuo, firmerei subito per un’occasione così.